I governi di tutti i paesi del mondo sono coinvolti in uno sforzo congiunto per contrastare il cambiamento climatico.
L’IPCC “Intergovernmental Panel Climate Change”, nell’ultimo rapporto scientifico, conferma l’origine antropica dell’effetto serra e afferma che per mantenere l’aumento di temperatura media superficiale della terra al di sotto dei 2 °C rispetto ai livelli pre-industriali, corrispondenti a una stabilizzazione della concentrazione di green house gases “GHG – gas effetto serra“ pari a 450 ppm “Parti per milione in volume”, sarà necessaria per i Paesi industrializzati una riduzione delle emissioni del 25 – 40% al 2020 e dell’80% – 95% al 2050.
Con il protocollo di Kyoto si è dato il via al principio delle responsabilità comuni ma differenziate tra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo, con il post Kyoto bisognerebbe rispondere all’obiettivo ultimo della convenzione “Quadro sui Cambiamenti Climatici”, ovvero la stabilizzazione delle concentrazioni a un livello tale da prevenire interferenze antropiche dannose al sistema del clima. L’obiettivo da raggiungere anche se ambizioso ma necessario è quello di ridurre fortemente le emissioni di gas serra a livello mondiale.
Il World Energy Outlook 2011 dell’IEA “International Energy Agency”, ritiene che per stabilizzare le concentrazioni di GHG a 450 ppm sia necessario rispetto allo scenario “New Policies” che considera tutte le politiche dichiarate dagli Stati, compresi gli impegni nazionali di riduzione delle emissioni di GHC comunicate nell’ambito dell’Accordo di Cancun nonché le iniziative intraprese nell’ambito del
G-20 e dell’APEAC “Asia-Pacific Economic Cooperation”, un’ulteriore riduzione di CO2 di 15 Gt, ossia una riduzione di 18 Gt CO2 entro il 2035.
Purtroppo le emissioni di GHG continuano a crescere negli ultimi anni. I dati evidenziano che, le emissioni globali di CO2 sono cresciuti nel 2010 del 5,8% rispetto al 2009, raggiungendo il livello record di 33 Gt.
Il processo negoziale della Conferenza delle Parti delle Nazioni Unite, focalizzato sulla quantificazione dell’obiettivo di riduzione da raggiungere, sulla individuazione di una visione condivisa dagli obiettivi di riduzione tra le Parti e sulla disponibilità dei relativi finanziamenti, necessita di nuove energie e di nuove idee.
L’Accordo firmato a Copenhagen e le successive “offerte di riduzione” da parte dei paesi industrializzati, secondo valutazioni fatte dall’UNEP “Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente”, non centrano l’obiettivo di mantenere l’aumento della temperatura sotto ai 2°C.
L’Unione Europea, dopo aver adottato la strategia Clima-Energia in cui si obbliga unilateralmente a ridurre le proprie emissioni del 20% entro il 2020 rispetto ai livelli del 1990, ha approntato una Roadmap per il 2050, in cui si prevede una progressiva decarbonizzazione dell’economia con un impegno di riduzione di gas serra dell’80% al 2050 e un’intensificazione dello sforzo al 2020.
Un sistema mondiale di Emission Trading, che potrebbe inizialmente integrare quello europeo con gli altri sistemi esistenti, è facilmente applicabile solo ad alcuni settori produttivi. Approcci come la “carbon tax” sull’energia primaria sono ancora in fase di studio e molto dibattuti, in quanto presentano il limite di non essere esplicitamente percepite dal consumatore finale.
Sarebbe utile quindi, approfondire nuovi approcci e regole che responsabilizzino il consumatore circa i costi energetici ed ambientali delle proprie scelte di consumo e consentano di migliorare l’efficienza energetica ed ambientale di tutti i beni e servizi che consumiamo, ovunque siano prodotti.
La nuova proposta di Direttiva europea sulla fiscalità energetica, che prevede una componente fiscale proporzionale alle emissioni indotte, può essere un primo passo verso una contabilità ambientale che consenta di attribuire a ciascun bene o servizio le emissioni indotte ad esso associate.
Quindi accorpando il concetto di Emission Trading e di fiscalità energetica, dalle comunità locali bisognerebbe dunque ripartire, ascoltandone la vocazione e le attese, l’unicità della loro storia e del possibile percorso verso lo sviluppo e la vivibilità ambientale, socio-economica e culturale.
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